domenica 8 luglio 2012

Pescantina-Verona-Pescantina… aspettando un domani migliore


Un pedale insegue l’altro
Veloci e impazienti
Come due amanti che nella pausa pranzo
Si scambiano le proprie infelicità


La prima goccia di sudore riga la sua guancia rossa
Seccandosi quasi immediatamente
Come i fotogrammi delle risate all’università
Si spengono nei suoi occhi

 
Sulla via del ritorno Irene pedala verso il Sole
E la sua bici asseconda paziente i suoi dubbi e le sue paure
Raccogliendo una lacrima sul manubrio
Mentre le canne cullate dal vento sul ciglio della strada
Sembrano salutare dolcemente il suo passaggio
 
 
Guarda avanti Irene, guarda verso la cima di quella salita
E si alza sui pedali stringendo gli occhi chiusi ancora umidi
… “C’è da raggiungere il Sole” pensa
Lasciandosi alle spalle nuvole cariche di speranza

Pescantina-Verona-Pescantina… aspettando un domani migliore
Fotografie e testo: Mauro Zanecchia

L'autore si presenta così:
 
I link di Mauro: la sua pagina Flickr

 


venerdì 6 luglio 2012

L’attesa di Chiarina


Protezioni

Da giovani non si pensa mai alla morte, è una cosa talmente lontana, improbabile. Non si può capire chi pensa ogni giorno a questo.
Col passare del tempo, invece, senti che il momento può arrivare…che c’è questa maggiore probabilità. Ti fermi spesso ad immaginare il tuo ultimo momento ma lo tieni velato nella tua mente, o almeno cerchi di farlo è ancora tutto così lontano.
A novantenni, le cose sono completamente diverse. Attendi  con timore che questo possa avvenire, forse serenamente, forse impazientemente perché non vuoi essere più un peso per nessuno.  La vita è passata veloce, vedi i figli invecchiare, i nipoti crescere, perdi un po’ alla volta le persone a te più care e tu lì ad aspettare il tuo momento, affidandoti alla preghiera, alla speranza che qualcuno da qualche parte al di là ti stia aspettando… è una attesa che un giovane non può capire questa, non può capire.


Lo sguardo degli altri

Spesso mi son trovato a far visita a persone malate nei loro ultimi giorni di vita, gli sguardi sono tanti, fissi, diversi. L’anziano che riceve la visita dimentica per un attimo la sua attesa, ritorna ai ricordi passati, racconta storie che hanno segnato la sua vita…è bello per loro ricevere una visita, distrae da quell’unico e solo pensiero che ti accompagna ogni giorno fino alla fine, rende sopportabili le sofferenze.
Mentre chi visita, invece, ha uno sguardo compassionevole, cerca di imprimere nella propria mente il volto del suo caro che prima o poi non rivedrà più… cerca di trasmettere un po’ di calore e di amore, per loro la morte è ancora tanto lontana.


L’attesa

La maggior parte del tempo si trascorre da solo, l’attesa è questa… tu e i tuoi mali, la tua sofferenza. E’ raro essere sereni in questi momenti. La preghiera ti accompagna, il tempo passa lento… io non so ancora cosa veramente si prova, forse la serenità è frutto di cosa sei riuscito a fare nella vita e quindi accetti la tua fine… non so, la serenità la si può scorgere anche da un gesto, da una posa.

Il tuo posto

Gli spazi improvvisamente si restringono, quella che era la tua “grande” casa, fatta di angoli, di cose da fare, da mettere in ordine, da preparare per qualcosa o qualcuno…diventa solo una sedia, un letto. Non ti serve più nulla. Sei in un angolo ora, impietosamente in attesa…
La fine

Poi arriva la fine… lasci tutto, chi sa dove sei. L’attesa è finita. Ora fai parte anche tu dei ricordi e sei lì a proteggere altri da lontano col sorriso di una fotografia.

L'attesa di Chiarina
Fotografie e testo di: Umberto Verdoliva

L'autore si presenta così:
I link di Umberto: il suo sito - Flickr - la pagina Facebook





mercoledì 4 luglio 2012

L'attesa



Jessica smise di sperare. Si sentiva ormai esausta, vinta.

Le dava sollievo sapere che ben presto avrebbe perso lucidità, anche solo per la mancanza di cibo. O di aria.
Quante ore erano passate esattamente? Non ne aveva idea, le sembrava di stare lì da tutta la vita.
Era rannicchiata su sè stessa in un angolo della prigione dalle sottili pareti di vetro situata in una desolata radura, flebile illusione di libertà. Solo una mente sadica avrebbe potuto ideare una cosa del genere.
L'altra ragazza, di cui non sapeva nulla, giaceva senza vita a pochi passi da lei. Prima di andar via, il carnefice le aveva promesso che sarebbe tornato anche per lei, ma non si era più visto. Che gli fosse capitato qualcosa? O la sua coscienza gli aveva impedito di portare a termine il lavoro?
Per Jessica faceva poca differenza, non aveva comunque alcuna possibilità di salvarsi; le dava però un sottile piacere immaginare che anche lui fosse già morto.
Più ci pensava, più quell'ipotesi le sembrava tutt'altro che assurda: prima che quello squilibrato la rapisse, il misterioso virus di cui ancora si sapeva così poco aveva decimato in pochi giorni la popolazione mondiale e il numero di infetti cresceva in modo esponenziale.
Ovviamente i negozi erano stati subito presi d'assalto per le scorte di cibo e quel giorno, al centro commerciale, l'ultimo pensiero di Jessica era di poter essere rapita da un maniaco.
Ma era andata proprio così.
Cosa accadeva intanto fuori di lì? Il misterioso virus aveva già sterminato l'intera umanità, o qualcuno era riuscito a salvarsi?
E se l'unica persona rimasta in vita fosse lei, e lei sola?
Tutte risposte che Jessica non avrebbe mai conosciuto: il suo carnefice non tornò mai e quella che era probabilmente l'ultima donna sulla terra morì di stenti in una prigione di cristallo.

L'ultima speranza dell'intero genere umano moriva con lei.

L'attesa
Fotografie di: Andrea Spiezia
Testo di: Mariarita Cupersito

Glia autori si presentano così:

ANDREA SPIEZIA
Da diversi anni rimodello le foto perfezionandole con i migliori software in circolazione ed elaborando scatti digitali.
Non sempre è semplice catturare in un istante le emozioni che sentiamo.
Le emozioni percepite in natura sono strettamente personali, legate all'animo del lettore, ma mediante lo scatto, attraverso il mio sguardo, riesco a restituire al fruitore i sentimenti percepiti nella foto; l'obiettivo risulta essere per me uno strumento con il quale trasferire quel sentimento di empatia in istanti di emozioni.

I link di Andrea: il suo sito
MARIARITA CUPERSITO

I am a gothic writer who loves extravagance and posing for alternative photos and dark artists.
I 'm interested in all things that can be a source of inspiration for not conventional art and beauty.
I love retrò - alternative style, I love recreating the atmosphere of the gothic literature with the most dark and enchanting representation of the beauty.

I link di Mariarita: il suo sito


lunedì 2 luglio 2012

La macchina del tempo


La mia bisnonna non l’ho conosciuta di persona. E’ morta poco prima che io nascessi. Poco tempo fa ho trovato in una vecchia scatola, dimenticata da tutti, il suo diario, insieme a una macchina fotografica e a tante foto. Ho così avuto modo di scoprire l’inquieto pensare della nonna, il suo continuo dialogare con se stessa e con altri personaggi più o meno verosimili e reali. La fantasia faceva scorrere una quantità d’immagini nella sua mente e lei scriveva, raccontava, dipingeva o si lasciava galleggiare dall’emozioni che la prendevano. A volte però c’era bisogno che tutto si fermasse e stesse in silenzio, perché, diceva, “era il tempo di aspettare”.
A questo punto mi ero fatta l’idea di una persona estrosa e piuttosto strana, ma proseguendo nella lettura cominciai a pensare che fosse decisamente fuori di testa!
A proposito della sua macchina fotografica, che lei chiamava la Macchina del Tempo, diceva che serviva a far aspettare il tempo e che perciò andava usata con grande rispetto e parsimonia: quando ce n’era bisogno la nonna prendeva la sua macchina, la caricava, poi l’accendeva, e allora tutto intorno a lei si fermava. Lei cominciava a camminare e a guardare, a studiare quasi, le persone che incontrava, congelate in una posa. Alcune di queste le registrava sulla pellicola con la sua macchina. Quando sentiva di aver camminato a sufficienza nel silenzio di un mondo in stand-by spegneva la macchina e il tempo ricominciava a muoversi come sempre. Mi sembrava davvero follia ma ho voluto comunque dare un’occhiata alle foto. Non so se la macchina della nonna era riuscita a far aspettare il tempo, che solo a dirlo pare un ossimoro, ma di certo aveva colto le persone che erano ritratte nelle foto in uno stato di attesa. Ne guardo alcune e una dopo l’altra prendono forma delle storie. Ne trascrivo qualcuna di seguito.


Il giovane lettore attende che i panni sporchi siano di nuovo puliti, aspetta un nuovo inizio e intanto si riconcilia col proprio angelo, che spalmatosi sul muro gli rimane silenziosamente attaccato.


L’attrice è pronta, al centro del palcoscenico, in mimetica fusione con la scenografia che le sta intorno, occhi fissi sul copione, attende il segno per iniziare la sua parte.


Sotto il segno dei gemelli s’incrociano, ma non s’incontrano, gli sguardi di due uomini fermi ai lati esterni di un cantone. Al numero due di quella strada sono in attesa di qualcuno che forse si trova già lì.


Il giovane dalla pelle scura aspetta persone che si fermino da lui, per le storie e le rime che vende, per le parole dall’Africa che nella sua mente si ripetono in famigliari melodie.


Tra le scarpe e la gente c’è anche il rischio di scomparire, di dissolversi nel proprio sfondo. Lei cerca di sfuggire a questa possibilità, cerca una connessione con qualcuno, aspetta una risposta.

Tante altre foto ho trovato, più o meno interessanti, ma l’ultima è stata una rivelazione incredibile. Non ve la mostrerò, ve ne parlerò, per concludere questa storia. Nell’ultima foto c’è una bambina appena nata che piange, sembra all’ospedale sulla pancia della mamma. In secondo piano si vede mio padre da giovane che tiene una fotocamera al collo, e vicino a lui s’intravedono i miei nonni.
La bimba di questa foto, come ha confermato la mamma, sono io.

La Macchina del Tempo
Fotografie di: Sandro Bini
Testo di: Sara Severini

Gli autori si presentano così:

SANDRO BINI

I link di Sandto: il suo sito
SARA SEVERINI

Nota della redazione: Sara non ha trasmesso informazioni su di sé, solo un indirizzo mail che per ragioni di privacy non pubblichiamo.