sabato 30 giugno 2012

Io ed Ego



Sento un fastidio, qua dietro, all’altezza del cervelletto.
E’ come un ronzio perenne, un grillo parlante in agonia.
Sono prigioniera di me stessa, di quello che non riesco a dire, a fare, a decidere.
Anche adesso, mi sento sdoppiata tra il vacuo ondeggio del mio cervello e lo spillo che il mio stomaco cerca di far arrivare in gola. Mi trattengo dall’urlare, l’attesa della fase finale mi sta svuotando.
L’immagine è sempre la stessa, una me che non sono io; un loop che mi rimanda avanti e indietro affinché io decida chi voglio essere.
Sulla pelle percepisco come un doppio velo, una carta velina che mi si è incollata dappertutto. Cerco di chiudere gli occhi ma peggioro la situazione, sembra che tutto stia per essere risucchiato da un vortice sotto i miei piedi, sabbie mobili sotto il cemento della periferia.
Attendo che si sveli la mia vera essenza.
Gli sguardi degli altri sembrano sapere sempre dove andare, dove guardare, cosa centrare.
I miei cercano invece il dipanamento della confusione, indugiano su quale coscienza avrà vinto oggi.
Do le spalle allo specchio, non voglio vedere la pena consumarmi.


Non riesco a ragionare, a capacitarmi di come mi contraddico nella stessa situazione, lamella sottilissima che può piegarsi al contrario sotto la stessa pressione. Un involucro di pelle e carne vuota, dove si alternavano dentro due figlie di un dio minore. Una di questa sta aspettando che abbia il coraggio di viverla, che smetta la lotta con l’altra «che ha già fatto il suo tempo», mi sussurra.
E’ quasi buio. E’ ora. Una mia copia si riflette trovando conferma, l’altra sembra godere nel sovrapporsi per occuparne l’ombra. Mi sto duplicando.
Davanti alla stessa scelta non trovo mai un’uguale risposta. Un’indecisione sorvola ogni mio gesto e movimento, una perenne sospensione che biforca la mia psiche.
Come crisalide apro le spalle e le braccia, punto il viso sopra il solaio e subodoro l’aria con la punta del naso. Apro la bocca, mi aspetto che qualcosa ci entri o ci esca. Sto vacillando nel cercare di trasferire tutto quanto ho dentro di me in un altro abito epidermico.
Il cuore si placa, il grillo tace, il dolore decade. Si svela, quasi come un sipario di tulle, l’agognata pace.
Mi guardo in questa superficie riflettente. Io in una fotografia sola, reale, vera.
Ho deciso che organismo voglio originare. Ora, l’umidità calma, il morbido buio e il rosso del sangue appaiono leali come dovrebbero.
Giro le ciglia verso il salotto. Per un secondo tutto rischiara con la fiamma dell’accendino. Poi è di nuovo fumo e vapore. Io ed Ego.


Io ed Ego
Fotografie di: Francesca Bottazzin
Testo di: Daniela Veneri

Le autrici si presentano così:

FRANCESCA BOTTAZZIN
Nella vita, le due emozioni più futili sono il senso di colpa per ciò che è accaduto e l'inquietudine per ciò che potrebbe accadere. Che tu guardi indietro o avanti, il risultato è il medesimo: butti via il presente. Vorrei, con la mia fotografia, rendere qualsiasi tempo un attimo presente.
I link di Francesca: il suo sito


DANIELA VENERI
Amo la scienza, profondamente, per le sue implicazioni in ogni singolo aspetto della vita umana. Ma amo forse ancora di più quello che la sola scienza non sa spiegare: le emozioni, i pensieri, le sensazioni, l'anima, l'amore e il dolore interno.

I link di Daniela: il suo sito - la pagina Facebook

mercoledì 27 giugno 2012

In ogni posto



Lei aspettava tutti i giorni di poterlo rivedere ancora, quando si svegliava, quando lavorava, si sedeva a bere qualcosa dialogando con gli amici… E quando ritornava a letto la sera… Pensava ai luoghi in cui erano stati assieme, dove, nonostante non stesse più bene lui c’era… E c’era sempre. Sempre presente come un soldato. 



Mentre rifletteva però, la tristezza lasciava posto alla consolazione: sentiva in cuor suo che lui era ancora lì. E glielo dimostrava ogni giorno, bastava soffermarsi ad ascoltare… Ma non con l’ udito.

E l’aveva capito prima ancora di quel tragico giorno.

Così lei non tollerava che chi le stesse accanto piangesse perché sapeva che a lui questo faceva male: “Non farti veder piangere da me!” le disse.


Guardava le fotografie dei luoghi in cui era stata con lui: le fabbriche di Marghera di cui conosceva bene la storia e i boschi in cui avevano camminato per ore, chiacchierato, riso, a volte discusso per poi risalire in macchina alzando il volume della radio con lui che iniziava a fischiare felice.



Erano luoghi speciali quelli che lei custodiva, luoghi in cui era stata con tutta la famiglia ed in cui si avvertiva ancora forte la sua presenza: le sembrava di rivederlo in ciascuna di quelle immagini e di sentirne la voce potente e gioviale passare tra le fronde di quegli alberi.


 
Sarebbe stato troppo semplice rattristarsi. In quei momenti malinconici doveva pensare al contrario. Il vuoto apparente non era per forza assenza, lui c’era sotto un'altra forma e forse più forte tuttavia.

Mentre andava a dormire sapeva per certo che lui era lì e glielo dimostrava quotidianamente con piccoli segnali che poteva avvertire, ascoltando semplicemente quanto di bello gli aveva lasciato.

A papà.



In ogni posto
Fotografie e testo di: Francesca De Pieri

L'autrice si presenta così:
 
FRANCESCA DE PIERI
Francesca De Pieri si diploma in Pittura presso all’Accademia di Belle Arti di Venezia e nel 2006 consegue la Laurea Specialistica in Progettazione e Produzione Arti Visive (ClasAv). Si dedica alla fotografia, video e design.
 
I link di Francesca: il suo sito - equilibriartela pagina Facebook


lunedì 25 giugno 2012

Indeep


Se le mie emozioni potessero avere voce sarebbero fasci di luce che gridando bucano il buio fitto delle tenebre.
Cala il silenzio, s’irrompe la luce, lo ascolto nella speranza di sentire ancora quel battito rosso nel petto che da vita ad ogni cosa.
Ancora silenzio.
Mi guardo intorno con gli occhi della speranza, perché, sono certa che esista e che, prima o poi, mi travolgerà ancora.
Nell’attesa una lieve ansia pulsa nelle vene.


Indeep
Fotografie di: Antonella Tambone
Testo di: Monia Lisciandra

Le autrici si presentano così:

ANTONELLA TAMBONE
I link di Antonella: il suo sito - Flickr

MONIA LISCIANDRA

Monia Lisciandra ha partecipato al secondo concorso letterario Roberto Bertelli (Pontedera) nel 1989 vincendo il primo premio.

sabato 23 giugno 2012

Frammenti (una lunga attesa)


Le foto qui presentate sono state realizzate nel Cimitero Monumentale di Staglieno di Genova.


La particolarità di questo cimitero è la presenza di diverse statue realizzate con estrema attenzione ai particolari del viso e del corpo tanto da renderle estremamente reali.


Lo scopo di queste foto era rendere ancora più reali queste statue conferendo loro un aspetto drammatico facendo emergere dall’ombra le loro figure come se uscissero dal buio.

Sono state realizzate usando un flash esterno con applicato uno “snoot” che illuminasse solo una parte della statua e lasciando il resto in penombra. Utilizzando durante lo scatto opportuni tempi e diaframmi assieme a questo sistema d’illuminazione, si è potuto ottenere quest’effetto di figura che emerge dal buio.

Frammenti (una lunga attesa)
Fotografie di: Andrea Facco

L'autore si presenta così:
I link di Andrea: il suo sito - Flickr - la pagina Facebook

giovedì 21 giugno 2012

Dolce Rosa


Sara potrebbe tranquillamente dormire fino alle sette. Invece ogni mattina si alza alle cinque e fa colazione insieme a Luca.
Autobus, timbratura del cartellino, scale, inserisci password, avvia il pc, pausa caffè, panino in piedi a mezzogiorno e in un istante è sera. Sì, il caffelatte con le Macine del Mulino bianco val bene un paio di ore di sonno in meno. Due coccole, qualche bacio e una carovana di sorrisi come benzina per arrivare a sera: pezze colorate a pastello su un mantello troppo grigio.



Quando lui se ne va Sara potrebbe tornarsene a letto. Ma non lo fa mai. Accompagna Luca alla porta e lo segue con lo sguardo mentre attraversa il giardino, apre il cancello e scompare oltre la siepe di rose.
Sara lo fa ogni mattina. In qualsiasi stagione. Si affaccia al suo minuscolo giardino e respira l’aria tagliente dell’inverno, o quella mite del primo autunno, o anche quella afosa che lessa i polmoni in estate. Anche quell’aria umida le piace, perché anche lei profuma di mattino dolce, dopo il caffèlatte e le macine con il suo Luca.
La primavera, in marzo, ha bussato dolcemente alle porte dell’inverno, e Sara ha preparato meticolosamente le sue rose, tagliando tutti i rami danneggiati e quelli rivolti verso l’interno, in modo da formare una specie di scodella, come le aveva insegnato sua madre quando lei era ancora un cucciolo e la seguiva in giardino, attaccata alla sua sottana.
Poi, purtroppo, la vita le ha portato via la sua mamma. Troppo presto.




Da qualche giorno Sara si alza ogni mattina con la fregola della bambina che passa la notte del 24 dicembre in dormiveglia, con le orecchie ben tese, cercando di captare un rumore di scarponi leggeri provenire dal salotto, mentre immagina Babbo Natale che si avvicina all’albero in punta di piedi, con il suo sacco sulle spalle.
I fiori sono lì. Chiusi nel loro bocciolo. Sembrano non aver voglia di sbocciare. Stanno bene dove sono, i suoi fiori. Raggomitolati. Riparati dal vento che una volta nati sparpaglierà i loro petali per le vie di cemento del quartiere popolare dove il caso li ha voluti far nascere.
Sara cammina scalza. I fili d’erba le accarezzano i piedi. Pensa che è bello camminare scalzi e che se un bambino nasce scalzo, un motivo ci sarà. Pensa che il mondo sarebbe migliore se i passi della gente non fossero mascherati da scarpe e inutili ambizioni.




Si avvicina alla sua Pierre de Ronsard. Ha un rosa tenue. Si china in avanti, i suoi capelli castani le scivolano davanti agli occhi. Li scosta provando a infilarli dietro le orecchie, ma loro tornano a svolazzare liberi, mossi da una tenera brezza. Ci mette un attimo a mettere a fuoco. Ma, sì, è proprio nata. La sua rosa preferita.
Sara avvicina il suo nasino sottile al pistillo. Profuma di purezza.
Finalmente è sbocciata. L’aveva aspettata tanto. La prima della stagione, primo schizzo su una tela che per mesi colorerà il suo giardino. Ogni anno, quando scopre la prima rosa coraggiosa che ha deciso di sbocciare,  ripensa alla sua mamma. E piange.



Rientra in casa. Lentamente. Ha gli occhi chiusi, un sorriso ingenuo a illuminarle il viso. Va in bagno.
Abbassa gli occhi. Quella specie di termometro è lì, appoggiato al bordo del lavabo.
Chiude gli occhi. Li riapre.
Ci sono due lineette rosa su quel pezzo di plastica bianca.
Si guarda allo specchio. E’ sbocciata come la sua Pierre de Ronsard. Rosa come quelle due lineette rosa.
Quanto l’ha cercata. Quanto l’ha aspettata…
Sarà femmina. Sara ne è certa. Rosa sarebbe un nome stupendo per una bambina che, in un giorno di Maggio, ha deciso di rannicchiarsi nel suo bocciolo.

Dolce Rosa
Fotografie di: Francesco Cesare Ferrari
Testi di: Emanuele Di Fazio  

Gli autori si presentano così:

FRANCESCO CESARE FERRARI

Francesco ha una sola passione: la sua Reflex. Le sue fotografie gli permettono di fissare nel tempo ricordi e sensazioni, emozionarlo e spera emozionare chi le guarda. Ha da poco realizzato un sito: www.fewphotographer.com.
EMANUELE DI FAZIO
Emanuele Di Fazio scrive fondamentalmente per due motivi: è la cosa che più gli piace nonchè l'unica che sa fare. Nel 2011 ha pubblicato il romanzo "Come formiche in una pozzanghera", edizioni Ennepilibri. Attualmente sta lavorando a un nuovo libro.

 

martedì 19 giugno 2012

Didattica



Seduto, le gambe rannicchiate contro il petto, Giacomo fissava il telefono. Oltre i vetri sporchi
albeggiava, ma la sudicia moquette spugnosa risucchiava ogni luce.
I tendini del polso, schiacciato da ore dal mento non rasato, avvampavano.
Gli occhi bruciavano e lacrimavano.
Aveva promesso di chiamarlo, ma il telefono taceva.
Il ringhio squillante non arrivava a infrangere l’immobilità, il telefono non rischiava di cadere dal
tavolo ingombro di cicche a causa della vibrazione.
Una lacrima più grossa nacque nell’occhio sinistro, cadde, fu ingoiata dalla moquette col rumore di
uno scarafaggio spappolato.
Giacomo si alzò e uscì.

«Capo, una chiamata per lei dal centro Sviluppo Narrativo 31C»
«A quale regione fa riferimento?»
«Italia centrale signore»
«Me la passi»
«Parli»
«Uno dei nostri personaggi signore»
«Cosa gli è successo?»
«Pare che sia stancato di aspettare, signore»
«Cerchi di essere più preciso per favore. Si è stancato di aspettare cosa?»
«Le invio il file relativo alla narrazione.»



Sulla scrivania di Smithe lo schermo d’interfaccia sinistro fu pervaso da una luce blu. Durò alcuni
secondi, poi svanì. Una lunga sequenza di parole era apparsa al suo posto.

«Come può vedere, nel Capitolo 2 viene introdotto un personaggio femminile. La relazione con
Giacomo, il nostro protagonista, si sviluppa finché al Capitolo 5 lui non riesce a ottenere la
promessa di un incontro futuro.»
«Vedo, la tempistica del racconto mi pare ottima»
«Grazie, come immagina non abbiamo alcuna intenzione di mantenere la promessa della ragazza,
ed abbiamo in programma alcuni sviluppi tragici molto interessanti. Ma»
«Ma è successo qualcosa»
«Esatto. Ieri sera al termine della seduta narrativa abbiamo lasciato il protagonista nella sua casa,
seduto in attesa, a fissare il telefono nella speranza di una chiamata.»
«Uno stratagemma di rappresentazione dell’attesa un po’ banale non trova?»
«Purtroppo eravamo stanchi, e non c’è venuto in mente niente di meglio. E comunque potremmo
sempre cambiarlo. Quando ritroveremo il nostro protagonista»
«Lo avete perso?»
«Stamani al nostro ritorno era scomparso. La casa era vuota.»
«Se non è in casa dov’è?»
«Non lo sappiamo signore. E’ fuggito»

Ci fu un attimo di silenzio. Smithe sbuffò, afferrò una penna, la fece roteare fra le dita e ne
picchiettò il dorso sul tavolo di cristallo. Poi di colpo s’arrestò, la strinse fra pollice e indice fino a
far scricchiolare la plastica e la puntò verso lo schermo centrale, proprio fra gli occhi dell’uomo con
cui parlava.

«Mi sta dicendo che il vostro protagonista ha acquisito coscienza di sé, si è realmente innamorato
di quella ragazza, e, stufo di aspettare una telefonata che non sarebbe mai giunta ha violato i vostri
schemi narrativi per fuggire e andare a cercarla?»
«Temo di sì signore»
«Aspetti. Sto venendo lì»
«Abbiamo un modo di contattarlo?»
«Vuole parlare direttamente con lui signore?»
«No, ovvio. Ma per quanto si sia ribellato. Il personaggio rimane ancora dentro il nostro mondo di
finzione. Possiamo tentare di influenzarne le azioni.»
«Ha un telefono con se»
«Bene. Come si chiama la ragazza?»
«Clara»
«E’ plausibile che riceva un messaggio da lei? Qual è il motivo per cui dopo il primo incontro non
si è più fatta sentire?»
«Ha perso il telefono»
«Mpf. Sicuri che non le sia stato sottratto da qualcuno?»
«Abbastanza, perché?»
«Perché siete ricorsi a troppi espedienti in questa storia. Lo smarrimento manca di profondità, non
crea interesse. Il furto invece ha sempre un movente e un movente suscita attenzione»
«Devo prendere appunti»
«No, deve scrivere questo: “Scusami, avevo smarrito il telefono. Vediamoci allo stesso bar - è
pronta questa ambientazione? L’avete preparata per la scena del Capitolo 2 no? - dell’altra sera”»
«Bene lo invio»
«No aspetti.» Smithe si sedette. O, per meglio dire, crollò su una sedia e prese a massaggiarsi il
mento mentre fissava il vuoto.
«Le ripeto la domanda. Perché Clara non ha chiamato il nostro protagonista? E non mi dica
“perché ha perduto il telefono”»
«Allora sarò costretto a tacere»
«Tanto era una domanda retorica. Io lo so già. Nella vita di Clara c’è un altro uomo.»
«Un fidanzato?»
«O un marito. Un marito sì. Più forte è questa relazione meglio è. Apparirà più morboso e
giustificato»
«Giustificato cosa?»
«Ho pensato un finale»
«Mah avevamo pronti più di 500 capitoli»
«Se li scordi, non possiamo lasciare a giro un personaggio fuori controllo. Si ricordi che il nostro
scopo è didattico. Se non controlliamo i personaggi non controlliamo gli insegnamenti che diamo.
Ora mandi quel messaggio»


Camminava a caso ormai da ore. I pugni premuti nelle tasche, il capo chino. Avrebbe voluto tenerlo
alto, dritto, per scrutare ogni volto di passaggio per vedere se fosse lei. Ma le strade erano vuote,
nemmeno il vento le attraversava.
Sudato, le gambe doloranti e i nervi lacerati s’appoggiò schiena a un albero rachitico e chiuse gli
occhi.
Allora, nel fondo della tasca, il telefono vibrò.
“Scusa, avevo perso il telefono. Possiamo incontrarci allo stesso bar dell’altra sera. Ti va?”
La bocca semiaperta, fissò il telefono senza respirare. Con un gesto lento, robotico, lo richiuse e
mise in tasca. Alzò la testa con la stessa rigidità, ristette ancora un attimo e infine tornò sui suoi
passi correndo.

«E’ quasi in posizione»
«Il personaggio del marito. Fra quanto sarà pronto?»
«Ancora alcune ore signore. I nostri autori lo stanno assemblando»
«Due ore - Smithe sprofondò la testa fra le mani – è un attesa lunga»
« Troppo lunga signore. Orologi,»
«Banalissimi orologi dietro ogni angolo. Evitarli per due ore sarà come camminare in equilibrio su
una corda per due chilometri»
Smithe si accese un sigaro, allungò le gambe, e incrociò le mani dietro la testa.
«Scommette che alla fine di questa attesa non gli avrò ancora fatto guardare l’orologio?»
«Neanche una volta?»
«Neanche una volta»
«Io di solito non scommetto, ho paura di perdere»
«50 crediti?»
Smithe mosse nervosamente le labbra, masticando un boccone di invisibile.
«70»
«Ahhahahahahahha, Landi lei non è un grande scrittore, ma è simpatico» Smithe iniziò a
picchiare le dita sulla tastiera.


Il bar era angusto, i pochi, obesi, clienti del pomeriggio lo facevano comunque apparire affollato,
anche se muti fumavano nervosi.
Gli occhi già rossi di Giacomo soffrirono come acido l’aria acre.
Ordinò una birra e si sedete al tavolo in fondo.
Quanto doveva aspettare? Non gli aveva detto un’ora precisa.
Passò del tempo. Dietro il bancone c’era un orologio avvolto di ragnatele, ma Giacomo decise che
non lo avrebbe guardato. Mai.
Doveva però trovare altri modi di contarsi il tempo. La sua birra era circa a metà.
Quanto impiega un uomo a finire una birra?
La finì, aspettò un po’ e ne ordinò un altra. Si accese una sigaretta. Un birra più una sigaretta quanto
tempo portano via?
Sopra di lui l’orologio ticchettava.
Un’ altra birra, un’altra sigaretta.
Poi vinse il terrore che lei, entrando e non vedendolo, rinunciasse, e andò al bagno.
Sfogliò un giornale, da cima a fondo, due volte.
Si costrinse anche a leggere un articolo, o meglio, a far scorrere gli occhi sopra le lettere stampate.
Un’altra sigaretta.
Ogni volta il rumore raschiante della lancetta dei secondi si trascinava per un tempo più lungo. Per
tutto il tempo di quel rantolo meccanico Giacomo era invogliato girare la testa e guardare l’orologio.

«Signore lei sta per cedere»
La testa di Giacomo si torceva impercettibilmente, le pupille ruotavano verso l’orologio. Stava per
cedere
«No non ancora»
Poi lo scatto. Aveva resistito un altro secondo.



«Signore. Il marito è pronto»
«Ahahahha, Landi, lei mi deve 70 crediti»
«Devo pagare per veder morire il mio personaggio»
«Landi se inizia a affezionarsi è finita. “Odiare le proprie creature”
«Un marito che spunta dal nulla, una storia che si conclude in modo innaturale senza essersi
sviluppata a dovere. Credo sia la cosa più brutta che abbiamo mai scritto. Il povero Giacomo non ha fatto niente per meritarsela»
«Il povero Giacomo non esiste – disse Smithe Poi si alzò dalla sedia e, slacciandosi la cravatta
mentre ancora stringeva il sigaro fra i denti, la spinse verso Landi – mandi dentro il marito, chiuda questa storia e poi, poi se ne vada una settimana in ferie.» Smithe uscì con passo deciso. Appena fuori dalla porta portò alla bocca l’orologio da polso e parlò nel microfono.
«Segretaria?»
«Sì signor Smithe?»
«Avvii le pratiche per il licenziamento dell’agente Landi e gli faccia trovare il modulo da firmare sulla sua scrivania a una settimana da adesso.»

Landi si sedette alla scrivania e digitò alcune parole.
Giacomo si era alzato, incapace di aspettare ancora seduto. In quel momento il telefono vibrò nella tasca. Un messaggio.
«Questa lunga attesa è una trappola. Clara è sposata, e suo marito sta venendo a prenderti. Alzati e vattene, presto»

Giacomo alzò lo sguardo, la pelle gli bruciava come per una febbre. Un accesso di tosse gli
sconvolse i polmoni. Cadde in ginocchio, una mano aggrappata al tavolo.
Poi, lentamente, si riprese. Si tirò su e lento, ruotò lo sguardo attorno. I clienti, il barista, il fumo, le mosche. Niente si era mosso.
Giacomo digitò sul telefono:
«Non so chi tu sia. Ti ringrazio, ma ormai è tutto inutile. Questo bar, questi clienti obesi, questa birra calda, è tutto troppo triste per continuarlo invano»
Un cigolio. La porta si stava aprendo.
Entrò un uomo grosso, alto, calvo, il naso adunco, due grosse mani nodose e callose. Una stava
uscendo dalla tasca del giubbotto. Fra le dita baluginava qualcosa. La lama di un coltello.
Giacomo guardò l’orologio. Le sette e un quarto.
Tre minuti dopo, disteso sul tavolo, un attimo prima di morire, Giacomo lo guardò di nuovo. Le sette e diciotto.



                                                                         Didattica
Forofrafie di: Gruppo Konforme (Progetto Kontatto)
Testo di: Dario Landi

Gli autori si presentano così:
 
GRUPPO KONFORME (Progetto Kontatto)
Giancarlo Barzagli
Ginevra Galluzzi
Serena Barbieri
Dario Balestri
I link di Gruppo Konforme (Progetto Kontatto): la pagina Facebook

DARIO LANDI
I link di Dario: LinkedIn - DarioLandi - Formepossibili

domenica 17 giugno 2012

Consumati di piacere (L’attesa di un ricordo)




Sotto un albero isolato su una collina,
d'estate,
con le spighe incrinate di vento,
la tua testa conosceva la mia spalla.

I nostri visi persi nelle linee della nostra mano.
Io suonavo fili d'erba,
tu raccoglievi quei suoni insensati.
Respiravo te,
respiravi me.

Consumati di piacere.


                                             Consumati di piacere (L’attesa di un ricordo)
                                                Fotografia e lirica di: Samuele Romano

                                                           L'autore si presenta così:

"Mi chiamo Samuele Romano. Sono un fotografo. L’interesse per la fotografia vista come espressione anche sul versante artistico, è stato uno dei tanti stimoli importanti per la mia crescita.
Questa passione ha avuto inizio fotografando nuvole, mare e cielo. Grandi cieli aperti, mare, onde e i loro infiniti movimenti, nuvole di ogni tipo, hanno avuto un ruolo importante.
L’ambiente e il territorio della Puglia hanno costituito il primo naturale soggetto verso cui ho rivolto l’interesse fotografico, diventando fotografo paesaggistico e naturalistico: il mare, le campagne, l’edilizia rurale e contadina di un tempo passato, sono i temi fondamentali della mia ricerca fotografica.
Concilio la passione con la ricerca personale."

I link di Samuele: il sito - Flickr

venerdì 15 giugno 2012

Attesa verso la libertà


"Il nostro progetto Attesa verso la libertà vuole descrivere il senso di attesa di un cavallo, dalla reclusione in stalla verso la tanto desiderata possibilità di correre libero col suo padrone.

Le fotografie tentano di raccontare in maniera quasi soffusa questa storia; si parte da immagini di particolari che diventano man mano sempre più esplicative e chiare nel loro significato."

Attesa verso la libertà
Fotografie di: Andrea Morando e Laura Arbanelli
Testo di: Laura Arbanelli

Gli autori si presentano così:


ANDREA MORANDO

"Sono nato a Genova e qui ho vissuto fino ad ora. I generi di fotografia che prediligo sono i ritratti e la fotografia di strada. Adoro osservare le persone quando sono immerse nella loro routine, passeggiano per la strada, riposano su una panchina. Fotografarle in questi momenti è come rubarli per un istante dalla loro vita e per quello stesso istante entrare a farne parte. La figura umana, direttamente o indirettamente, è sempre presente nelle mia fotografia. Che altro dire? Non mi piace parlare di me… Lascio che lo facciano le immagini!"
I link di Andrea: il sito - la pagina Facebook - Flickr - Linkedin



LAURA ARBANELLI

"La passione per la fotografia mi è stata trasmessa da mio papà insieme al bisogno quasi maniacale di poter catturare attimi e ricordi dalla realtà. Con gli studi universitari in Scienze della Comunicazione ho potuto poi approfondire più in dettaglio il linguaggio dei segni e in particolar modo la semiotica della fotografia. Passione e consapevolezza hanno fatto sì che circa 4 anni fa comprassi la mia prima reflex e da allora sono diventata un’onnivora cacciatrice di immagini.

Amo soffermarmi soprattutto sui dettagli, sui particolari, su immagini dense di significato che possano essere portatrici di profondi messaggi."
I link di Laura: la pagina Facebook - Flickr - Linkedin
 

mercoledì 13 giugno 2012

(at)TESA: l’alba di un’inquietudine


L’attesa? Non esiste un modo per spiegarla. Si manifesta in una varietà di forme che sono impossibili da unificare. Basta semplicemente vivere per capire il suo significato. Quel sentimento di paura, di tensione che si racchiude dietro a delle parole d’inchiostro ormai assorbite dalla carta nel momento in cui queste arrivano al destinatario o quando disturbano e risvegliano uno degli angoli remoti della tua memoria, il ricordo. Questa è attesa ed è sentimento, positivo o negativo che sia. Si trova in ogni gesto quotidiano, si nasconde come un bambino dietro a una tenda, tanto che riesci a vederlo, ma non vuoi scoprirlo del tutto, per lasciare nell’aria quella suspance che incuriosisce. Come incuriosiscono le carte di un avversario, il desiderio di vedere la sua giocata per poter controbattere. Un avversario, un amico, qualunque persona, aspettata ansiosamente su una fragile panchina di legno durante un pomeriggio piovoso: per chi attende il primo appuntamento, per chi attende un amico che non vede da anni, ma anche semplicemente per chi attende un pensiero. Il solo restare seduti da soli, in silenzio con un vuoto negli occhi e una marea di pensieri nella mente, è pur sempre attesa, una dolce e silenziosa attesa, nella ricerca di qualcosa che potrebbe non esser mai trovato. Il silenzioso, quieto dormire è speranza di un nuovo giorno, attesa verso il proseguimento della propria vita, diverso dai precedenti e da ogni altro. E quel sonno è una semplice pausa, un intermezzo tra le ore che con il loro continuo fluire creano un'inquietudine, una paura verso ciò che il futuro avvolge nel dubbio. Compare negli animi di coloro che sanno guardare oltre ciò che si può vedere, sapendo scovare nei gesti più piccoli una grande trepidazione per il risultato.

Tutto è niente, ma il mutare dell'uno nell'altro è attesa.




 
(at)TESA: l’alba di un’inquietudine
Fotografie e testo: Elisa Mangiacavalli

L'autrice si presenta così

"Riassumere una parte di me in poche righe? Vi dirò allora del mio amore per la fotografia. L’obiettivo mio principale è quello di riuscire a trasmettere quel che io vedo e sento quando fotografo. Se questo riesce, io ho raggiunto il mio scopo."

I link di Elisa: Il suo sito - La sua pagina Facebook

L'Attesa: progetti selezionati

Il nostro primo contest di narrazione fotografica "L'Attesa" sta raggiungendo il suo completamento: tra i progetti pervenuti ne abbiamo selezionati 14, tutti molto diversi tra loro.

Desideriamo ringraziare tutte le persone che hanno partecipato dedicando tempo ed impegno a questo progetto. Cercheremo di ringraziare in modo adeguato gli autori selezionati mantenedo la promessa di dare la maggior visibilità possibile ai loro lavori: per questa ragione abbiamo pensato di allargare i media di pubblicazione anche al web. Questo permetterà a tutti di linkare i progetti a pagine web, blog, social oppure di inviare semplicemente il link agli amici.

A partire da oggi, a giorni alterni, pubblicheremo sul nostro blog ad uno ad uno i 14 lavori dei vincitori, sottolineando che l'ordine non è dettato da una graduatoria di merito ma semplicemente dall'ordine alfabetico dei titoli attribuiti dagli autori ai rispettivi progetti. I vincitori sono tutti, pari merito. Alla pubblicazione web seguiranno a breve l'ebook e se ce la faremo, anche una… sorpresa.

Elenco dei progetti selezionati:

(at)TESA: l'alba di un'inquietudine
di Elisa Mangiacavalli

Attesa verso la libertà
di Andrea Morando - Laura Arbanelli

Consumati di Piacere (l'attesa di un ricordo)
di Samuele Romano

Didattica
di Gruppo Konforme (Progetto Kontatto)

Dolce Rosa
di Francesco Cesare Ferrari- Emanuele Di Fazio

Frammenti
di Andrea Facco

Indeep
di Antonella Tambone

In ogni posto
di Francesca De Pieri

Io&Ego
di Daniela Veneri -Francesca Bottazzin

La Macchina del Tempo
Sandro Bini - Sara Severini

L'Attesa
di Andrea Spiezia - Mariarita Cupersito

L'attesa di Chiarina
di Umberto Verdoliva

Pescantina-Verona-Pescantina… aspettando un domani migliore
di Mauro Zanecchia

Through The Glass
di Francesco Arena




Grazie ancora a tutti!

La magia dei giardini di Munro, artista luminoso

L'artista inglese Bruce Munro lavora con la luce; le sue installazioni interagiscono con la natura creando paesaggi surreali di incredibile magia.
Nella sua prima grande mostra personale "Light" ha potuto disporre di immensi spazi, i ventitré acri dei Pennsylvania Longwood Gardens, che ha popolato con sei installazioni su larga scala, riservando al giardino d'inverno due opere più contenute.
In "Ninfee" centinaia di CD si confondono tra i gigli victoria che galleggiano in un grande lago del parco; "Led" è composta da torri che l'artista definisce "water towers", costruite con bottiglie e fibre ottiche che si colorano e pulsano in sincrono con la musica diffusa nel giardino; "Campo di luce" illumina il perimetro di un laghetto con 6500 lampade sferiche montate su steli luminosi, illuminate da 13 proiettori da 150 watt a ioduri metallici.
Per apprezzare le variazioni luminose e la suggestione dell'ambiente le fotografie non bastano, perciò vi presentiamo due  video.
Nel primo potete compiere una breve visita alla mostra ai giardini, mentre il secondo presenta l'artista e il suo lavoro.
Per tutte le installazioni Munro usa materiale riciclato e modalità a basso consumo.