Se avete poca dimestichezza con la fotografia e l'arte contemporanea prima di procedere a qualche lettura di approfondimento limitatevi ad osservare le immagini di Gregory Crewdson e abbandonatevi alle loro suggestioni.
Esterni di una periferia americana povera, luci livide e interni surreali con corpi nudi e composizioni che ricordano più il set cinematografico che la vita reale, letti sfatti e una generale aria di abbandono, di degrado. A rendere tutto più drammatico e coinvolgente è la luce, che sembra sparata solo su alcuni particolari e sui corpi bluastri che popolano le scene.Se poi leggerete qualche intervista al fotografo scoprirete che per arrivare al momento congelato della foto c'è voluto il lavoro di assistenti, tecnici, addetti alle luci, al make-up e alla post-produzione. Perché nella sua dichiarata ricerca della perfezione Crewdson allestisce una perfetta regia, da cui estrae la scena impeccabile, scollegandola da ciò che è stato e che sarà.
Sono proprio la preparazione, le competenze che stanno dietro a questo frammento così surreale ed insieme così minuzioso nel realismo dei dettagli a produrre una intensa suggestione filmica
Se invece avete qualche conoscenza in ambito artistico e cinematografico riconoscerete gli ispiratori di questo onirico puzzle: donne visibilmente infelici e provate, come nei ritratti di Diane Arbus, collocate in esterni notturni alla Hopper, o in fatiscenti interni alla Rockwell, coordinati da una regia alla David Lynch e illuminati alla Roger Tratt (il fotografo di Batman I, autore della ricostruzione sulfurea di Gotham City).
Tutto è giocato in una gamma cromatica alla Mad Men, tanto per non dimenticare nemmeno la TV, e incredibilmente funziona.
A questo link potete leggere un'intervista a Gregory Crewdson ed indagare la sua metodologia di lavoro. Qui troverete invece una panoramica completa delle sue opere.
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